Conclusioni di Alfio Bassotti sul tema:“Marche chiama Europa: idee e proposte per rendere le Marche protagoniste in Europa”

settembre 28th, 2009

Conclusioni di Alfio Bassotti sul tema:

Marche chiama Europa: idee e proposte per rendere le Marche protagoniste in Europa

7  marzo 2004 – JESI – Hotel Federico II

 Introduzione 

Tanti anni fa, un nostro amico, quando prendeva la parola nelle nostre assemblee, era solito esordire con la frase di rito:  sarò breve!

Un impegno, però, che non riusciva mai ad onorare visto che gli era impossibile essere sintetico: oramai eravamo soliti non farvi più caso  perché sapevamo che in realtà sarebbe successo esattamente  il contrario.

Una volta, però, esagerò  veramente perché, oltre alla frase di rito, esordì dicendo: “ ai tempi dei babilonesi”, il che  scatenò un vero putiferio perché tutti erano preoccupati di quanto tempo ci sarebbe voluto per farlo arrivare ai tempi nostri. 

Vi ho raccontato questo aneddoto per dirvi di non preoccuparvi se io partirò anche da più lontano citando un passo della Genesi:  tranquillizzatevi, però, perché cercherò immediatamente di correlare il suo contenuto alla nostra realtà.

 ****

 Si legge nella sacra Bibbia – Genesi Capitolo 1   24-29:

 “Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona.E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. ’Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra». Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.” 

Vi starete chiedendo perché ho scomodato la Sacra Bibbia per introdurre un dialogo tra di noi, un dialogo che oggi verte sulla proposta di programma che l’associazione Europa III° Millennio sta elaborando quale proprio contributo al libero dibattito delle componenti politiche e sociali della nostra comunità regionale.

Un motivo c’e ed è anche abbastanza semplice: è quello di ricordare sempre, e sottolineo sempre, che l’uomo nel disegno di Dio è l’essere più prezioso del creato, fatto a sua immagine e somiglianza, e che, pertanto, ogni nostro pensare ed ogni nostro agire deve essere costantemente ed esclusivamente indirizzato alla realizzazione della sua elevazione spirituale e sociale.

Non a caso la Chiesa ci ricorda che la politica deve fare riferimento a principi di valore assoluto proprio perché essi debbono essere al servizio della dignità della persona e del progresso dell’umanità.

D’altra parte, pur essendo vero che la promozione del bene comune da parte della politica non ha nulla a che vedere con il confessionalismo o l’intolleranza religiosa, è anche vero che i credenti impegnati nel sociale e nel politico non possono però nemmeno sacrificare, sull’altare del laicismo esasperato, il dovere di vivere l’impegno politico offrendo, sulla base dei principi irrinunciabili che li animano, il loro originale e coerente apporto  alla costruzione di un ordinamento sociale che realizzi l’esaltazione della dignità della persona umana.

 Pur essendo edotti sul fatto che queste nostre convinzioni non significano il venir meno al dovere di mediare anche le altrui ragioni ( non essendo noi così bigotti da non comprendere che la politica si esalta proprio quando è capace di trovare, nel confronto tra diversi, soluzioni di sintesi di alto livello e di grande spessore in grado quindi di produrre un salto di qualità del convivere civile), siamo, però, anche perfettamente coscienti che la nostra proposta può partire solo dalle  esigenze etiche fondamentali: tutto ciò nella consapevolezza che, giorno dopo giorno, il decidere le scelte da portare avanti, mette perennemente in gioco l’essenza dell’ordine morale che riguarda il bene integrale della persona umana.

 Dunque,  l’uomo, la sua dignità, lo sviluppo della sua personalità attraverso la conquista di nuovi e più avanzati spazi di libertà, devono essere i veri parametri  di valutazione della validità di ogni nostra proposta e di ogni nostra iniziativa.

In questo senso debbono essere lette tutte le proposte che abbiamo avanzato.

 Certo, amici,  esse non sono la verità assoluta, tutt’altro:

noi abbiamo voluto semplicemente lanciare un sasso che rimuova le acque stagnanti di un mondo politico che,  amo ripetere, a noi sembra tutto proteso ad apparire più che ad operare, tutto proteso a difendere le posizioni personali, dettate da un egoismo e da un personalismo irrefrenabile, piuttosto che a servire ed ad assicurare  il bene comune.

 Ebbene, se ciò è vero, ed è vero, questa nostra iniziativa diviene quanto mai opportuna perché richiama il mondo politico e sociale regionale al dovere di confrontarsi anziché al semplice scontrarsi, a proporre piuttosto che a protestare,  a produrre concretamente rinunciando alla politica degli annunci ad effetto di iniziative poi mai realizzate.

 Occorre dire basta!

Basta con gli studi, basta con gli esperti che non vanno mai oltre alla sagra delle parole senza prospettare, né tanto meno produrre valide soluzioni ai tanti problemi che attanagliano la nostra comunità:

E’ necessario, pertanto, portare avanti uno sforzo ove le energie e le capacità di ciascuno sfocino in una nuova stagione di concretezza che restituisca vitalità e slancio all’azione legislativa, programmatica ed amministrativa: solo questo metodo di governo può disincagliare le Marche dalle attuali secche del qualunquismo e dell’immobilismo in cui sono oggettivamente venute sempre più a trovarsi in questo ultimo decennio.

E ciò si è verificato per responsabilità primaria dell’attuale maggioranza regionale che è stata travolta dall’ossessionante esigenza di combattere le sua inesistente omogeneità attraverso un politica caratterizzata da un centralismo così bieco ad asfissiante da far rimpiangere tante amministrazioni social comuniste del recente passato.

Un centralismo, così vessatorio, da chiudere ogni spazio di proposta e di iniziativa che si collocasse al di fuori della sfera di un rigido controllo regionale; un centralismo così sistematico da non riguardare solo l’organizzazione amministrativa e burocratica dell’ente regione, ma  calato in tutti i gangli vitali del convivere civile dei marchigiani: basti pensare, in proposito, non tanto ai settori della sanità, dei trasporti, dell’istruzione professionale, delle incentivazioni alle categorie produttive, quanto invece  ad un settore come quello culturale ed al fastidio che i livelli regionali provano nei confronti del protagonismo degli enti sub regionali come le province, le comunità montane. ed i comuni

  tutta la buona volontà non si comprende perché nessuno sembra non riuscire ad immaginare un dimensionamento, una qualità ed un livello dei servizi rapportato alle reali esigenze del cittadino, del suo nucleo familiare: misurando,  ad esempio, il tempo macchina plausibile per portare i figli alla scuola, per andare al lavoro, per farsi curare, per accedere agli uffici pubblici, agli uffici finanziari, ai tribunali, agli impianti sportivi, ai centri di attività culturali e del tempo libero: muoversi, cioè, in uno spazio e di tempo di territorio ottimali per assicurare un convivere  civile sereno ed un armonico sviluppo della comunità locale.

 Non ci sembra, però, essere questa la preoccupazione dell’attuale classe dirigente regionale.

Essa ha dimostrato, purtroppo, che la sua vera preoccupazione è stata e rimane semplicemente quella di realizzare una organizzazione comunitaria che garantisca innanzitutto il controllo politico del territorio: le decisioni, pertanto, vengono assunte  finalizzandole alla difesa del proprio consenso politico attraverso un rigido controllo di tutti i gangli dell’articolarsi della società civile.

 E debbo dire, per onestà,  che la stessa minoranza regionale non mi pare che abbia poi contribuito più di tanto a contrastare ed a evidenziare queste gravissimo stato dei fatti:  non l’ha fatto a sufficienza visto che  per tanto, troppo tempo è stata impegnata in laceranti lotte intestine, quasi che gli avversari fossero al suo interno anziché nelle componenti della maggioranza.

 Questo è il quadro:

Se è pur vero, dice un proverbio, che per morire c’è sempre tempo,  non si può comunque far finta di non essere in presenza di un coma profondo della nostra comunità: un coma , oserei dire, quasi  irreversibile e dal quale, non sarà facile, anzi sarà arduo, l’uscire.

 Premessa

 Ed allora io non vi ripeterò le cose già  dette e non farò la chiosa sul dibattito:

d’altronde, credo proprio che non sia questo che vi aspettate io faccia,  anche perché  tutto quanto è stato detto e proposto in questa sede, unitamente a tutte le osservazioni che vorrete farci pervenire tra aprile e maggio, saranno poi oggetto della sintesi conclusiva che insieme faremo con un secondo incontro dedicato appunto a determinare una proposta conclusiva che sia di ausilio a tutto quanto di positivo e di concreto possa contribuire a rendere le Marche una regione protagonista nel paese ed in Europa.

 Credo, invece, che ,in questa sede, da una parte sia opportuno prospettare metodiche che accompagnino la realizzazione efficace del progetto di ammodernamento della nostra comunità regionale, e dall’altra, sia necessario esprimere alcune riflessioni relative al quadro politico che stiamo vivendo sia livello nazionale che  regionale. Tutto ciò, a me sembra, necessario vuoi per avere un visione d’insieme della realtà in cui siamo chiamati ad operare, e vuoi per immaginare quale possano essere le prospettive che ci consentano di concorrere alla promozione ed alla costruzione di un nuovo aggregato politico in cui l’esperienza dei cattolici e dei liberal democratici possa ritornare ad incidere, in modo unitario, nel mondo politico regionale, nazionale ed europeo.

 In ordine al programma :

 A me preme, innanzitutto, precisare che il nostro obbiettivo è quello di produrre uno sforzo propositivo e partecipato: una proposta, cioè, che sorga dal basso attraverso il contributo di comuni cittadini che vivono la loro esperienza immersi nella quotidianità della nostra realtà regionale .

Un progetto, quindi, profondamente ancorato alle problematiche ed alle caratteristiche del nostro territorio, un progetto che esalti  la civiltà del nostro convivere, che esalti la nobiltà dell’istituto familiare, che esalti le nostre radici rappresentate dai valori di quella civiltà contadina da cui, chi prima o chi dopo, quasi tutti sostanzialmente proveniamo.

Sviluppare, perciò un nostro modello aggiornandole ed arricchendolo di tutte quelle intuizione etiche, sociali, economiche, organizzative tali da farlo anche assurgere a punto di riferimento essenziale  per la realizzazione della via adriatica allo sviluppo

 Non abbiamo, perciò, modelli da copiare o, peggio ancora, da importare: cosa questa a cui mi è sembrato recentemente assistere visto il copioso numero di manager e di studiosi che sono calati a iosa dall’Emilia Romagna per venire a spiegare  a noi, poveri zoticoni delle Marche, quanto eccezionale fosse il loro modello organizzativo e quanto, perciò, fosse opportuno, anzi necessario, fare nostro  il modello  organizzativo di quella regione.

 Vedete, in politica come nella vita, è importante conoscere quali sono le nostre radici, la nostra storia e la nostra identità: essi non sono affatto elementi di divisione poiché rappresentano un patrimonio di esperienze che può e deve arricchire il presente per concorrere poi a costruire il futuro.

La nostra identità regionale, quindi, deve essere considerata un valore aggiunto alla costruzione permanente della identità nazionale ed europea.

 In conclusione, noi riteniamo esistere, anche nella nostra regione, tante e tali professionalità in grado di assicurare alla nostra comunità l’elaborazione di originali, autonome ed efficaci proposte atte a garantirci solide prospettive di sviluppo.

    Fatta queste  doverose valutazioni:  

  • la prima riflessione che voglio fare riguarda la organizzazione istituzionale della regione:

Ho già detto della necessità di organizzare enti e servizi sub regionali su una dimensione territoriale che sia tale da rendere ottimale ed  armonico lo svolgersi dell’attività del cittadino e della sua famiglia, esaltandone gli spazi di libertà e di autonomia. 

A me pare che non solo, nello statuto regionale, questo aspetto non venga sviluppato adeguatamente, ma ciò che non viene proprio risolto secondo il mio modesto parere, è il nodo vero che abbiamo di fronte: quello, cioè, della realizzazione di un effettivo decentramento, di una vera partecipazione e di un chiaro controllo dei cittadini sulle scelte che, ai vari livelli, gli eletti sono chiamati ad effettuare.

E questo nodo per noi si chiama federalismo fiscale.

Io non  mi appassiono più di tanto alle discussioni per decidere se i consiglieri regionali rimangono quaranta o possono essere elevati a cinquanta, oppure se opportuno che l’ordine del giorno dei lavori del consiglio venga deciso dall’ufficio di presidenza o  dalla conferenza dei capigruppo : ho le mie opinioni al riguardo ma questi aspetti, anche se importanti, non li ritengo marginali.

Quello che ritengo decisivo, invece, è sciogliere, una volta per tutte, il nodo del federalismo fiscale: certo è una questione controversa,  difficile da proporre ed applicare: un problema, comunque, che se non viene risolto, vanifica non solo il sogno di un decentramento che consenta di avvicinare lo stato ai cittadini e la reale partecipazione degli stessi alle scelte, ma trasforma il disegno del decentramento dello stato in una vera e propria bufala.

E chiarisco:

Oggi, sono ormai consolidate in capo alle regioni, alle province, ai comuni tutta una serie di competenze; ed oltre a ciò, si è provveduto anche al trasferimento, attingendo al bilancio dello stato, delle risorse necessarie ad esercitarle.

Il disegno sembrerebbe perfetto, ma così non è:  tanto è vero che sono subito iniziate contestazioni e diatribe a non finire tra chi lamenta (Regioni, province e comuni) che le stesse sono insufficienti e chi, come il  governo, afferma, invece, che sono superiori a quanto sino ad ora impegnato dallo stato relativamente a tali settori.

A tutto ciò fa naturalmente eco il costo sempre crescente di tanti servizi con la conseguente lamentela dei cittadini perché tali prestazioni sono troppo onerose e  carenti.

Tutta questa querelle si caratterizza con gli amministratori locali che se ne lavano le mani accusando il governo di mettere a disposizione risorse insufficienti, mentre lo stato, da parte sua, accusa di inettitudine gli amministratori locali perché incapaci di fissare una scala di priorità nelle scelte e di non razionalizzare le spese.

Ma la vera vittima, cari amici, tutto questo andazzo allucinante è il cittadino che, oltre subire disservizi e spendere di più, non riesce nemmeno a capire di chi è la responsabilità di tutto ciò. 

Ebbene c’è un solo sistema per superare tutte queste furbizie e tutte queste polemiche. È quello di assegnare alle regioni, ai comuni ed alle province la completa, e sottolineo completa, potestà impositiva per far fronte alle proprie competenze ed attribuzioni: cosicché ognuno provveda direttamente al prelievo fiscale necessario al proprio funzionamento ed alla realizzazione dei programmi varati.

Questo non significa che lo stato centrale non possa o non debba  intervenire laddove le difficoltà sociali impongano una perequazione economica ed una solidarietà nazionale.

Oggi, al cittadino è molto  difficile individuare le responsabilità in presenza di  un prelievo fiscale indistinto a livello nazionale e le sue successive  ripartizioni che sono il risultato di estenuanti trattative tra enti locali e lo stato e tra gli stessi enti locali.

Il prelievo diretto, invece, visto che ognuno sarà cosciente  di ciò che deve pagare  e per quali finalizzazioni programmatiche, consentirà al cittadino di poter poi controllare come vengono spesi i suoi soldi permettendogli con ciò di maturare un consapevole giudizio sull’operato dei propri amministratori. 

  • Una seconda riflessione attiene  la rapidità e capacità di spesa: credo, infatti, che sia necessario non finanziare nulla che non sia immediatamente cantierabili ed  operativo.

Occorre perciò:

  • Evitare di finanziare opere pubbliche senza che siano dotate di progetti esecutivi e fissare  la condizione    della loro realizzazione entro un biennio pena la decadenza automatica dal finanziamento.
  • Evitare di finanziare progetti ed attività che una volta realizzati, non diventino immediatamente operativi.
  • Evitare di continuare a finanziare studi e ricerche generiche che servono solo a fare convegni ove si produce solo filosofie sociologiche che non approdano a nulla.
  • Evitare, fatte salve le emergenze e le calamità, di effettuare finanziamenti a pioggia: il metodo da applicare è quello di realizzare una programmazione sistematica accompagnata da realistici e severi piani finanziari.

 Quanto illustrato a me pare sottolinei con forza le ragioni che impongono sia lo stop a tutta la pletora degli incarichi esterni, che l’esigenza di tornare ad utilizzare e valorizzare le energie che l’amministrazione regionale ha al suo interno e sul territorio.

Mi sovviene, in proposito, una riflessione prendendo a pretesto la  vicenda della società Quadrilatero.

Malgrado tutta la buona volontà, non mi riesce di capire la preoccupazione manifestata, così assiduamente, dalla Giunta Regionale  per questa iniziativa: un volta tanto che si può concretamente  sperimentare una metodologia tesa ad assicurare il rapido completamento di tutta una serie di opere infrastrutturali,  indispensabili ad assicurare la mobilità delle merci e delle persone nella nostra regione, si assiste al fatto che chi, avendo governato male la nostra regione in tutti questi anni rendendo, tra l’altro addirittura drammatico il problema delle infrastrutture , oggi,  continui un gioco al massacro esternando immotivati dubbi e riserve sull’iniziativa:  prima dubbi sulle metodologie per costituire la società, poi sul mancato coordinamento, quindi sulla scarsità di fondi a disposizione ,  e poi  sulle colate di cemento,  e poi, e poi  Dio solo sa che altro verrà detto in proposito.

Ma perché, io  mi chiedo, cari amici, perché, anziché fare il processo alle intenzioni, non si aspetta almeno di verificare se, rispetto ai tempi preannunciati,  gli impegni assunti saranno  o meno mantenuti, perché non prendere atto che a questa impresa partecipa il massimo del management regionale ed il massimo del management nazionale.

 Ma credete  sul serio che un industriale affermato, che non deve più dimostrare niente, come Gennaro Pieralisi o la stessa ANAS hanno forse voglia di scherzare ?

Ma, allora  di che cosa si ha paura?

Che cosa volete che accada di peggiore di quanto, sino ad ora realizzato, si fa per dire, dal governo regionale?

Ricordate i proclami sulla realizzazione della via adriatica allo sviluppo, i proclami sul corridoio adriatico, sul raddoppio e sull’arretramento della ferrovia, che per anni ed anni, di volta in volta, a turno, ci sono stati ammansiti dal Presidente  D’Ambrosio, dai parlamentari europei di sinistra,  dai parlamentari DS, con una intensità tale che anche chi vi parla si era quasi convinto che si sarebbe fatto sul serio.

 In realtà,  non solo non si è mosso paglia, ma non sono stati utilizzati nemmeno i finanziamenti esistenti, dal 1987, per il porto , per la variante di Ancona alla statale 16, per il collegamento dell’interporto, e via di seguito. 

Ed allora, per cortesia,  si abbiate almeno il buon gusto, di farla finita con questa solfa  e di lasciar lavorare chi tenta di farlo sul serio.  

  • Una terza riflessione attiene la esigenza di riportare l’attività regionale nell’alveo delle sue funzioni e prerogative istituzionali che sono quelle di programmazione e legislazione: occorre, pertanto, limitare al minimo indispensabile l’amministrazione attiva, sia direttamente che indirettamente attraverso organi od enti di emanazione regionale.

Sbarazzarsi quindi delle incombenze operative che sono invece proprie degli enti locali, sbarazzarsi di tutte queste agenzie regionali che sono sempre di più dei carrozzoni tenuti in piedi quasi sempre perché occorre  piazzarvi l’amico politico di turno:

Se queste agenzie, invece, hanno qualche seria ragione di esistere si dia vita, allora, ad organismi indipendenti le cui fortune saranno unicamente dettate dalla loro produttività e dalla loro capacità di operare.  

  • Una quarta riflessione riguarda azioni ed iniziative necessarie a creare opportunità e finalità finanziarie a sostegno dello sviluppo per: 

A) realizzare una proficua collaborazione con il nostro sistema bancario per far si che la raccolta del risparmio effettuata nella nostra regione venga prioritariamente utilizzata: 

  • a sostegno delle imprese industriali e commerciali delle Marche e non prenda, come purtroppo in questi anni è spesso accaduto, in larga parte, la via del sostegno di altre realtà territoriali per finanziarie grandi imprese, alcune delle quali, purtroppo, hanno dimostrato avere i piedi di argilla. 

B) assegnare gli incentivi regionali per i settori produttivi indirizzandoli  prioritariamente : 

  • A sostegno dei programmi di sviluppo tecnologico e di riconversione del tessuto industriale e commerciale della nostra comunità.
  • A sostegno dei servizi di altissima specializzazione di cui tutto l’apparato industriale, commerciale e produttivo marchigiano ha oggi estrema necessità per restare concorrenziale sul piano interno ed internazionale.
  • A sostegno delle piccole e medie imprese che debbono assicurare duttilità e varietà necessarie ad evitare il crearsi di quei comparti monoproduttivi che tanti danni creano, e creeranno ancora, perché destinati ad entrare ciclicamente in crisi, ed in crisi, per lo più, irreversibili.
  • A sostenere le attività legate a quel bene che la divina provvidenza ci ha donato:  il paesaggio. Un patrimonio, questo, sempre più da difendere e valorizzare con intelligenza visto che esso, attraverso il turismo, sta diventando sempre di più una delle più rilevanti risorse delle Marche.  
  • Una quinta riflessione dobbiamo farla  in ordine al rapporto tra pubblico e privato nella gestione di servizi pubblici.

 E’ questa una questione atavica che trova sostenitori incalliti tra chi crede che il pubblico debba essere privilegiato perché la gestione pubblica dei servizi  difende i più deboli, i meno abbienti, gli emarginati e perché l’intervento del pubblico in alcuni settori evita condizioni di monopolio e di privilegio; e tra  chi, invece, sostiene che tutto debba essere privatizzato perché l’occupazione di tanto spazio da parte del pubblico soffoca l’economia ed è sinonimo di spreco di risorse ed inefficienza. 

La verità, su tale polemica, ancorché si voglia disquisire di pubblico e di privato in termini prettamente economici, non esiste: la storia ci insegna che l’economia di stato applicata nei cosiddetti paesi del socialismo reale ha portato alla rovina e alla disperazione quei popoli; e sempre la storia ci insegna che le economie capitalistiche esasperate hanno portato la povertà ai popoli dell’america latina, e hanno portato la guerra e la fame nel terzo mondo.

Ed allora, solo la esigenza , il dovere di guidare lo sviluppo in modo corretto e coerente, in modo progressivo e solidale, in modo socialmente equilibrato potrà e dovrà suggerire, di volta in volta e di situazione in situazione, quale strada scegliere.

Questo equilibrio vale come criterio  anche quando si debbono decidere i modi di gestione dei pubblici servizi.

In proposito, per l’esperienza vissuta, debbo confessarvi  che io credo essere cosa buona che pubblico e privato, ove possibile,  coesistano e si confrontano per dare risposte di alto profilo.

Pertanto, solo laddove il pubblico e privato non possono coesistere e debbano essere comunque assicurati, per ragioni di equità sociale, alcuni servizi pubblici sarà eventualmente la qualità dei servizi e la loro economicità a decidere quale forma, di volta in volta, privilegiare

Perciò, ancorché si dovesse essere costretti, per cause le più svariate, a fare una scelta, l’importante è che questa  venga sempre fatta e motivata da ragioni oggettive. 

  • Una sesta riflessione di carattere metodologico desidero, infine, fare: essa attienene la capacità di elaborare programmi annuali e pluriennali con coperture finanziarie certe.

 L’azione di indebitamento progressivo della regione ha assunto in, questa ultima fase, livelli che hanno superato di gran lunga il limite di guardia       ( mi fa sorridere, in proposito, il battage pubblicitario che si è fatto sulla sottoscrizione di prestiti obbligazionari realizzati sul mercato Londinese dalla nostra regione: il tutto è stato presentato come un fatto di eccezionale ingegneria finanziaria che, salvo qualche meritoria eccezione, ha raccolto una quasi generale approvazione).

In clima di così gratuito ottimismo a me è sembrato che non vi è stata la necessaria determinazione e costanza, utilizzando tutti gli strumenti necessari, per spiegare con forza, alla comunità regionale  che eravamo di fronte ad una operazione di indebitamento colossale che, unitamente a agli altri indebitamenti consolidati (sanità, trasporti, ecc), porterà, in tempi abbastanza ristretti, alla paralisi dell’ente;

Questa situazione perciò, renderà sempre più difficile ed ardua la copertura finanziaria dei programmi di sviluppo, talché occorrerà apprestare una vera propria task force capace di scovare e reperire risorse da tutti i rivoli del bilancio dello stato, da tutte le opportunità finanziarie  europee e da tutte le occasioni di finanziamenti straordinari che possono maturare ai vari livelli in capo alla quotidiana attività legislativa e programmatica dello stato e dell’Unione Europea. 

  • Un’ultima riflessione di carattere economico-sociale:

questa amministrazione regionale è stata così brava  da  riuscire, non solo a far entrare in crisi alcuni settori produttivi tradizionali delle Marche, ma anche da mettere in discussione addirittura l’intero modello marchigiano.

Ed inutile accampare scusanti: come il fatto che è il terzo mondo che mette in discussione la produzione manifatturiera per il basso costo della mano d’opera, o l’apparire sul mercato di nuove   presenze significative come la Cina e l’India, o il fenomeno dalla globalizzazione, o l’11 settembre, o l’euro che, essendosi troppo apprezzato, rende difficili le esportazioni, o la continua crescita della fonti di energia, e chi più ne ha, più ne metta.

Tutte giustificazioni che non possono certamente rappresentare la rituale foglia di fico tendente a dimostrare che non stiamo giungendo del tutto nudi alla meta.

Affermo, invece, cari amici, che lo sviluppo occorre guidarlo e  non subirne passivamente le difficoltà.

Un semplice esempio in proposito: noi stiamo subendo lo sfascio fino al punto che le nostre imprese di trasporto passeggeri, sia pubbliche  che private, divenute, nel recente passato un modello di efficienza e razionalità invidiatoci a livello nazionale, hanno oggi chiesto il riconoscimento di settore in crisi. 

E mi fermo qui per volgere invece un attimo lo sguardo  alla politica in generale.

 Le riflessioni che voglio fare in proposito desidero svilupparle senza alcun timore di provocare reazioni o qualche mugugno di troppo: sono stato da sempre un uomo libero e come tale voglio continuare a comportarmi tanto più che quelle che stiamo vivendo sono vicende che non consentono compromesso alcuno.

Se è vero che, da politico consumato, non dovrei dimenticare un vecchio adagio popolare che recita: per dir la verità persi un amico !, è anche vero, però, che l’attendismo esasperato, il giocare sempre di fioretto, il cercare di dire e non dire, non pagano quasi mai nella quotidianità, immaginate voi quanto possono pagare oggi in politica.

E, comunque, abbiate pazienza, cari amici, anche per me vale l’adagio: “ semel in anno licet insanire”.

 **** 

E tanto per cominciare: non credete che sia ora di prendere coscienza che questa teorizzazione dell’esistenza di un duopolo nel nostro paese fa acqua da tutte le parti? 

Il voler tutt’ora insistere sulla validità dell’esistenza di due poli naturalmente omogenei, uno di centro destra e l’altro  di centro sinistra, ai più, potrebbe ormai semplicemente far sorridere: purtroppo la situazione è talmente drammatica che più che sorridere, fa semplicemente piangere. 

Ma di quali poli omogenei si può parlare visto che nel centro destra, ogni giorno, assistiamo alle esternazioni bossiane che sollevano continui e quotidiani, profondi contrasti, sia con Alleanza  Nazionale e sia con l’Udc: esternazioni, spesso così integraliste, così negatrici degli ideali e dei valori più profondi affermati dalla dottrina sociale della chiesa tanto da ferire la coscienza di ogni cattolico, ovunque militi politicamente. Ed è perciò inevitabile che questo stato di cose renda, sempre di più, precario ed instabile l’equilibrio politico del centro destra si da sollevare seri dubbi  circa la possibilità di poter a lungo continuare un’utile collaborazione politica in presenza di un così forte e costante stato di conflittualità interna. 

Ma se il centro destra  soffre, il centro sinistra certamente non ride.

 Sì, perché, se il centrodestra non è proprio omogeneo,  che cosa dire del centrosinistra

Si potrebbe iniziare dal suo nome: ma di quale centrosinistra  si parla?: l’unica seria definizione sarebbe eventualmente quella di sinistra centro visto il peso preponderante che Rifondazione comunista, i Comunisti italiani, i Verdi, i DS hanno rispetto ai socialisti di Boselli all’UDEUR (Proposta popolare) ed alla Margherita ove, tra l’altro, i componenti del disciolto partito popolare  rischiano di contare sempre di meno.

 Sinistra centro, dunque, ove si registrano quotidianamente le incompatibilità di fondo sui principio che muovono i marxisti, i massimalisti rispetto alle concezioni dei cattolici e liberal democratici : incompatibilità che sono tante e tali da rendere inconciliabili il comune parlare ed agire.

Si pensi in proposito ai conflitti sulla politica internazionale, si pensi al concetto di centralismo contrapposto al concetto di pluralismo, alle differenze  tra controllo sociale ed istituzionale e la partecipazione, tra il pubblico e il privato, tra l’eutanasia, l’aborto e la difesa della vita, tra le nuove frontiere cavalcate da una ricerca biologica senza regole e l’esigenza di limiti che un’etica naturale, invece, impongono.

Per non parlare dei limiti non solo politici ma anche caratteriali che anche il centrosinistra incontra nello stare insieme: infatti, si è costretti a registrare una quotidiana pluralità di commenti, caratterizzati da sottili distinguo oltre a qualche gomitata di troppo, necessari  ad assicurare spazi e visibilità ai singoli esponenti della variegata galassia politica di sinistra.

Quindi, questo insieme di piante, di fiori e di cespugli certo non appare come un amena aiola fiorita ma  sembra,  tutt’al più, essere un brutto dirupo  pieno di rovi e quindi di spine.

 Vi è, poi, per entrambi i poli un mal comune che, un vecchio adagio, potrebbe definire anche un mezzo gaudio:

 Vi è, cioè, un gran proliferare di posizioni politiche, uno scorazzare di qua e di la, un affannarsi ad occupare nuovi spazi tanto che sembra di assistere al gioco dei quattro cantoni: 

si pensi in proposito alla rincorsa di Fini sull’antifascismo, una rincorsa così violenta che se non rallentava un poco rischiava non solo di non fermarsi al centro ma addirittura di superare a sinistra il PDS e di arrivare nudo alla meta.

Si pensi, poi, alle scissioni ed agli accorpamenti della varie componenti di sinistra.

Si pensi,poi, al nuovo raggruppamento dell’estrema destra.

Si pensi, infine al correntone del PDS che ogni giorno assume posizioni di assoluto distinguo rispetto alle enunciazioni ufficiali della segreteria Fassino.

 Si pensi, infine, tutta la serie di movimenti, accorpamenti o scissioni, accompagnati da un viavai di parlamentari, dirigenti di partito da una formazione all’altra, dalla destra alla sinistra,  dalla sinistra alla destra,  all’interno del centro sinistra o del centro destra:  un traffico così intenso che non sarebbe sufficiente nemmeno una squadra di vigili urbani per regolarlo. Vedete, cari amici, quanto è facile, anche troppo facile, fare dell’ironia su questo stato di cose.

Sono, invece, preoccupato perché convinto che una così poca coerenza di linea politica, il clima di intolleranza che si vive spesso all’interno dei singoli partiti, denotano, la oggettiva difficoltà a doversi quotidianamente, sempre e comunque, adeguarsi ad un così difficile clima di convivenza cosicché c’è chi preferisce , prima o poi, andarsene e cambiare aria.

Anche se a me pare che si stia oggettivamente esagerando,  non possiamo non prendere atto essere , quella che stiamo vivendo, una stagione in cui le forze politiche in campo non riescono ad esprimere una grande capacita di attrazione  perché sono in crisi di identità.

E questo amici è estremamente pericoloso: pericoloso perché la tenuta democratica di un paese difficilmente si sposa,  si alimenta, e tanto meno si coniuga, in un clima di qualunquismo imperante.

 Ed a completare questo bellissimo quadro della II^ repubblica c’è, infine, da registrare anche la presenza di un apolide della politica: un apolide, si badi bene,  non per scelta ma per necessità visto che, malgrado ogni suo sforzo, l’interessato non trova una patria:

Avrete probabilmente capito che parlo di  Di Pietro!

 Si, cari amici, parlo proprio di questo azzeccagarbugli della politica , del Tonino nazionale, del Tonino, si fa per dire, delle o dalle mani pulite  che ogni santo giorno che ha fatto il Signore, come recita una vecchia canzone, dice a suoi amici del centro sinistra: vengo anch’io.  

E  la risposta e sempre la stessa:  no, tu no!

E lui insiste : Ma perché

Perché no!

 E, così questo povero Cristo, lui così socievole, che litiga con tutti e soprattutto con la lingua italiana, lui che aveva lasciato il centro destra per poi accasarsi provvisoriamente a sinistra; lui che, successivamente, aveva anche tentato di metter su casa per proprio conto, è stato oggi, udite udite, rifiutato per l’ennesima volta, anche da quella sinistra che lo aveva convenientemente utilizzato e strumentalizzato.

 Per dirla con una sua battuta:

Il  Tonino nazionale non ci azzecca proprio! Anzi non ci azzecca mai!

 E che dire di più, cari amici, se non prendere  a malincuore atto che la politica nazionale si è ridotta semplicemente a fare schieramento politico pro o contro Berlusconi.

 La politica, quindi, non è più vista come sede di dibattito programmatico, come rappresentanza sociale, come convergenza di interessi legittimi, come palestra democratica di confronto sui contenuti, sulle proposte, sulle strategie, sulle soluzioni operative per realizzare il bene comune.

No!

Ma solo una politica ciarlatana e barricadiera, ridotta ad un referendum pro o contro il Berlusca.

Credo essere questo l’ennesimo errore che la sinistra compie perché,  con tutta probabilità ed a lungo andare, un simile atteggiamento non fa altro che rafforzare l’attuale premier e, comunque, ognuno è libero di fare l’opposizione come meglio crede.

 Però, pur non condividendo questo metodo, io ritengo tutt’altro che ottusi coloro che si muovono in tal senso, tanto che mi sorge spontaneo un dubbio: 

ho, cioè, il vago sospetto che la strategia di finalizzare tutta la tematica politica nello scontro, quasi senza quartiere,  pro o contro la figura di Silvio Berlusconi e l’alimentare con ciò un clima di intolleranza alquanto sopra le righe, sottaccia nella menti di molti, non voglio dire di tutti, un disegno reazionario: quello cioè di poter rimuovere l’avversario attraverso una violenta contestazione di piazza le cui prove generali si sono, per la verità, già svolte sia a Napoli che a Genova.

 Ma vi pare possibile poter definire tutti costoro classe dirigente avveduta e responsabile se non si accorgano che, così operando, rischiano di far correre,  consciamente o inconsciamente, rischi letali alla democrazia ed alla convivenza civile del paese?

 Ribadisco, perciò un concetto da me ostinatamente più volte espresso e cioè, essere incredibile e rischioso per il convivere civile , dover prendere atto della superficialità con cui tanti assistono indifferenti alle iniziative di coloro che si attardano a pensare o, peggio ancora, a ritenere che in un paese dove si vota, liberamente ci si associa, dove c’è libertà di movimento, di parola, di iniziativa, di intrapresa qualcuno, sia possibile ed auspicabile il ricorrere, anziché al libero responso delle urne, alla piazza ed alla violenza per abbattere un Presidente del Consiglio democraticamente e liberamente eletto dal paese?

 Ecco cari amici,

mi rendo conto che vi ho probabilmente sfinito ma alcune valutazioni era utile che si cominciassero a fare sin da ora: altre le illustreremo nei prossimi appuntamenti.

 Una riflessione comunque è opportuno   subito accennarla: riguarda la necessità di conoscere, da parti dei poli, la designazione dei  candidati alla presidenza della giunta regionale.

Nessuno può pensare, perché l’elettorato non lo capirebbe, che, ancora una volta, sia possibile che i giochi siano fatti tra quattro o cinque persone ed all’ultimo momento,

Se si vuol cambiare, e si vuol cambiare sul serio, occorre presentare per tempo, anzi sin da oggi, squadra e programma e  scendere a discuterne con la gente  restituendo con ciò alla politica il gusto del confronto e della  partecipazione democratica.

Se questo non sarà, significa che c’è chi  la battaglia ha deciso di perderla prima di combatterla.

Ed a noi non resterà che prenderne atto!

Nessuno può, infatti, immaginare di poter contare su una nostra ipotetica  solidarietà senza che si possa capire a chi e il perché essa debba essere concessa: e considerato che noi siamo duri di testa e ci mettiamo un po’ più di tempo degli altri a comprendere, è necessario che l’intera problematica  ci sia illustrata in modo conveniente e  per tempo da chi si candida a rappresentare gli interessi legittimi dei marchigiani.

  Concludendo veramente cari amici,

 Ciò che ho illustrato credo  delinei sufficientemente i contorni del quadro politico in cui  sembra articolarsi il divenire della  II Repubblica:  un quadro così desolante, lasciatemelo dire, che confrontarlo con quello della prima repubblica significherebbe semplicemente bestemmiare.

 Oggi abiurano tutti: 

  • Veltroni definisce, beato lui, dopo una vita di militanza comunista , essere il comunismo il cancro della storia
  • Violante si accorge, oggi, che il PCI fu cieco e fece male ad ignorare la tragedia delle  foibe
  • Per converso Fini, dopo una vita di testimonianza missina, condanna l’esperienza fascista.

 E noi, cattolici e liberal democratici, che da sempre abbiamo affermato essere il comunismo  una tragedia per l’umanità, noi che, da sempre, abbiamo affermato essere l’olocausto degli ebrei, i massacri e le rappresaglie compiuti dalle SS o dai partigiani di Tito o da Stalin in Russia, crimini contro l’umanità, noi, a che cosa dobbiamo abiurare, quali colpe dovremmo denunciare: dovremmo forse  abiurare a cinquantanni anni di storia fatta di libertà, di democrazia, di sviluppo sociale ed economico in libertà e pace?

 Chi lo vuol fare si accomodi pure!

 Io non solo non lo faccio, ma dico con grande serenità ed assoluta determinazione che se fosse necessario rifarei tranquillamente tutto quello che ho fatto ancorché andassi incontro a conseguenze ancor più dolorose di quelle subite per la mia testimonianza politica.

 Io non abiuro, anzi sento tutto intero l’orgoglio di una testimonianza personale che insieme a tutti Voi, cari amici, insieme a milioni di giovani di donne e di uomini del nostro paese ha impedito alla nostra comunità nazionale  avventure totalitarie negatrici dei più elementari diritti di liberta e di democrazia.

 Non lo faccio, perché aborro veder vietato l’esercizio dei valori fondamentali posti a tutela della dignità della persona umana.

 Non lo faccio, perché non credo nella democrazia del proletariato che lascio volentieri gustare, ieri come oggi, ai  Bertinotti, ai Cossutta  e a tutti i compagni che vogliono farlo!

 Non lo faccio, perché tutta la mia vicenda politica è nata e si è sviluppata in un partito, la Democrazia Cristiana, che ha visto l’impegno unitario dei cattolici per costruire nel nostro paese, tra tante  difficoltà e tanti problemi, un processo tutto teso a creare il sereno sviluppo di una società civile a dimensione d’uomo:

 E questa mia testimonianza, esplicatasi tra tante soddisfazioni ma anche con tanto sacrificio ed impegno, conclusasi, poi, con le amarezze e le sofferenze che tutti conoscete, se, oggi ha ripreso vigore è esclusivamente per concorrere a creare le condizioni di un ritorno unitario dei cattolici in politica, quali che siano le forme o le condizioni per realizzarlo. 

D’altra parte, come è possibile, cari amici,  paragonare la tanta pochezza di questa seconda repubblica con la esaltante stagione vissuta nella prima da un paese che la guerra perduta aveva distrutto,un paese ormai ripiegato su se stesso, un popolo il nostro che sembrava incapace di reagire allo sfascio morale e materiale a cui la dissennata avventura fascista lo aveva portato.

Orbene, questo paese che sembrava essere solo un cumulo di rovine trovava invece la forza di reagire,  facendo scelte storiche eccezionali: passando dalla dittatura alla libertà, scegliendo il mondo occidentale, facendo del riformismo un metodo di governo permanente,  promovendo l’idea dell’Europa unita, operando costantemente per la cooperazione internazionale, garantendo pluralismo, partecipazione e solidarietà . Un paese che, così operando, ha scritto, nel bene e nel male, i 50 anni di  storia più fecondi che la nostra comunità nazionale abbia mai vissuto in libertà ed in pace.

 E questa epopea, piaccia o non piaccia, con la collaborazione indispensabile e determinante dei liberaldemocratici (socialisti, socialdemocratici, repubblicani e liberali),  è stata scritta soprattutto dai cattolici italiani organizzati in quel grande partito che è stato la Democrazia Cristiana.

 E oggi, dopo tanto tacere, sul versante della giustizia voglio affermare  essere ormai evidente che una consistente parte della magistratura, fortemente politicizzata a sinistra, immersa in disegno giustizialista, permeata da un senso di onnipotenza, attraversata da manie di protagonismo e sospinta  da un esasperato isterismo di categoria è riuscita in ciò che non erano riuscitio né ai movimenti di piazza prima, né alle brigate rosse poi: spazzare via le tradizionali formazioni politiche che organizzavano la presenza dei cattolici e dei liberal democratici.

E per riuscirci, questa magistratura, ha fatto di tutto e di più, ed abbiamo assistito per anni , per tanti, anni, ad un continuo tintinnar di manette, ed ad uno sconsiderato protagonismo mediatico sulla pelle di tante, di troppe persone innocenti.

Hanno tentato di farci passare per ladri e non lo siamo mai stati;

Ci hanno fatto subire incredibili umiliazioni e frustrazioni indegni di un convivere civile.

Ci hanno provocato sofferenze fisiche e morali indicibili.

 E tutt’ora, si badi bene, non hanno smesso di tentare di intimidirci, malgrado che il tempo abbia dimostrato quanto ipocrita e strumentale sia stata la stagione giustizialista nel nostro paese:

Credo che sia ormai legittimo il chiedersi, dopo che l’obbiettivo lo hanno raggiunto, a cosa servono ormai, a 12 anni dai fatti, le tante sentenze di assoluzione che stanno fioccando in quei pochi procedimenti che ci è stato consentito sostenere, a che cosa servono le assoluzioni ad Andreotti e Forlani e ai tanti, per non dire, quasi tutti gli altri politici coinvolti quando, o concretamente o di fatto, a tutta questa classe politica è stato impedito continuare nel loro impegno e nella loro testimonianza.

Mi domando a cosa serve, oggi, il ricordare la scia di sangue e di tragedie che hanno pur segnato questo periodo tormentato della nostra storia, a cosa servono i pellegrinaggi sulla tomba Craxi, commemorarlo in parlamento  come un grande statista, dopo averlo insultato e costretto a morire come un cane randagio, lontano dal proprio paese.

Voglio, qui,  ringraziare, Nazzareno Garbuglia, senza la cui resistenza e testimonianza processuale oggi non avremmo potuto mai dimostrare  l’innocenza di un comune amico che non è più tra noi:   Floriano Berrettini. 

Amici miei, tutt’ora io mi domando, con profonda amarezza, il perché questo mio stretto  collaboratore, compagno fedele e leale di tante battaglie,  vice sindaco di Ancona, è stato per due mesi sbattuto in carcere sulla base di una assurda ipotesi di reato; e mi chiedo il perché si sia dovuto attendere  12 anni prima che un tribunale gli riconoscesse la sua completa innocenza: tutto questo vi sembra giusto, civile ed umanamente accettabile?

E mi chiedo se ciò ha un senso visto che lui oggi non c’è più arrendendosi due anni fa fisicamente e moralmente a tanta ingiustizia.

E  chiedo a me stesso, quando e che cosa, potranno mai ripagare la sofferenza e le amarezze a cui si è dovuto piegare insieme ai suoi familiari?

Io una risposta,sul piano umano, a questi interrogativi non la trovo perché non esiste, fatta salva quella che, invece, mi ispira la fede attingendo al vangelo di Luca: Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

E’ chiaro ormai come il sole che hanno tentato di azzerare la nostra presenza convinti che, mai e poi mai, ci saremmo ripresi e che gioco forza avremmo abbandonato il campo per sempre. 

M hanno fatto male i loro conti, hanno sbagliato i loro calcoli, perché non hanno considerato la nostra incrollabile fede nelle verità.

Noi, non solo non potremmo mai abbandonare la nostra testimonianza, ma, credendo  nell’aldilà e quindi nell’eternità, non ci preoccupiamo, più di un tanto, del tempo che sarà necessario per riaffermare la legittimità dei cattolici di fare testimonianza politica in un partito che li rappresenti e ne esalti i valori e gli ideali di cui sono portatori e che vogliono testimoniare, aderendo, con ciò, generosamente all’appello che in questo senso ha loro lanciato la Congregazione per la dottrina  della fede.

Non importa, cari amici, quanto tempo ci vorrà: uno, cinque, 10 anni. Una o più generazioni;  non ha importanza se le nostre forze fisiche verranno meno e se noi non ci saremo più: altri, ne siamo certi, prenderanno il nostro posto e porteranno avanti il diritto dovere dei cattolici, dei liberal democratici ad operare unitariamente, in democrazia e libertà,  per affermare tutti quei valori che esaltano la persona e ne promuovono la crescita civile e morale.

In questi senso ci è maestra Santa madre Teresa di Calcutta che è riuscita a sfidare il mondo per servire i poveri in Cristo.

Essa affermava:

L’uomo è irragionevole, illogico, egocentrico:

NON IMPORTA, AMALO

Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici:

NON IMPORTA, FAI IL BENE

Se realizzi i tuoi obbiettivi, troverai falsi amici e veri nemici:

NON IMPORTA, REALIZZILI

Il bene che fai verrà domani dimenticato:

NON IMPORTA, FAI IL BENE

L’onesta e la sincerità ti rendono vulnerabile: 

NON IMPORTA, SII FRANCO ED ONESTO

Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo:

NON IMPORTA, COSTRUISCI

Se aiuti la gente, se ne risentirà:

NON IMPORTA,  AIUTALA

Da al mondo il meglio di te, e ti prenderanno a calci:

NON IMPORTA, DAI IL MEGLIO DI TE

 E se lo dice Santa Madre Teresa, cari amici, essa che, pur così piccola e fragile, ci ha lasciato un testamento incredibile di opere che la sua incrollabile fede ha reso possibili,  non solo dobbiamo crederci e non tirarci indietro, ma dobbiamo dare  sempre il meglio di noi stessi  per concorrere a costruire il futuro del nostro paese a dimensione d’uomo, convinti che servire l’uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio, è servire Dio.

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